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Danno alla salute a seguito di attività lavorativa: decisivo il nesso causale

Il datore di lavoro può solo provare a dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi dell’evento lesivo

Danno alla salute a seguito di attività lavorativa: decisivo il nesso causale

In materia di risarcimento del danno alla salute conseguente all’attività lavorativa, il nesso causale rilevante ai fini dello spontaneo riconoscimento, da parte del datore di lavoro, dell’equo indennizzo per la causa di servizio è identico a quello da provare per ottenere la condanna del medesimo datore di lavoro al risarcimento del danno, quando si faccia riferimento alla stessa prestazione lavorativa e all’identico evento dannoso. Ne consegue che, una volta dimostrato il detto nesso causale, grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi dell’evento lesivo.
Per quanto concerne poi la prova del relativo nesso causale, essa può essere generalmente ricavata, in via presuntiva, sulla base dello spontaneo riconoscimento, da parte del datore di lavoro, dell’equo indennizzo per causa di servizio, ove vengano in rilievo stesso fatto generatore, medesimo nesso causale e identico pregiudizio.
Allo stesso tempo, in materia di responsabilità del datore di lavoro per un infortunio sul luogo di lavoro, incombe sul lavoratore l’onere di provare il danno subito, la nocività dell’ambiente di lavoro ed il nesso causale fra questi due elementi, mentre grava sul datore di lavoro quello di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire l’evento lesivo. In particolare, per stabilire tale responsabilità, nel decidere se il datore abbia adempiuto a siffatto onere, bisogna: valutare se le misure di prevenzione del rischio predisposte fossero adatte alle condizioni del luogo ove è avvenuto l’incidente e alla posizione e alla dimensione degli oggetti da movimentare eventualmente coinvolti nel sinistro; accertare se il datore, se del caso anche per mezzo del suo responsabile del servizio, abbia vigilato, in concreto, sulla corretta applicazione delle regole di sicurezza ad opera dei lavoratori, non essendo possibile rimettere alla loro discrezionalità ogni valutazione in ordine alla gestione dello spazio a loro disposizione, abbia garantito la presenza di dispositivi idonei a prevenire i rischi potenziali e abbia ricevuto segnalazioni dai dipendenti, per, poi, trattarle adeguatamente.
Questi i principi fissati dai giudici (ordinanza numero 21714 del 28 luglio 2025 della Cassazione) alla luce del contenzioso originato da quanto capitato ad una operatrice socio-sanitaria in Veneto, ossia una caduta dalla sedia su cui era salita per raggiungere uno scatolone di grissini, posizionato su un pensile della cucinetta del reparto a cui era addetta, mentre preparava i vassoi del pasto dei degenti.
In generale, nel giudizio per il risarcimento del danno derivante da infortunio sul lavoro, l’onere gravante sul prestatore d’opera di provare l’inadempimento non comprende anche l’individuazione delle specifiche norme di cautela violate, specie ove non si tratti di misure tipiche o nominate, essendo, invece, sufficiente l’allegazione della condizione di pericolo insita nella conformazione del luogo di lavoro, nella organizzazione o nelle specifiche modalità di esecuzione della prestazione, oltre che del nesso causale tra la concretizzazione di quel pericolo ed il danno psicofisico sofferto. Incombe, per converso, sulla parte datoriale l’onere di provare l’inesistenza della condizione di pericolo oppure di avere predisposto tutte le misure atte a neutralizzare o ridurre, al minimo tecnicamente possibile, i rischi esistenti.
In particolare, ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro per un infortunio sul luogo di lavoro, incombe sul lavoratore l’onere di provare di avere subito un danno, la nocività dell’ambiente di lavoro ed il nesso causale fra questi due elementi, mentre grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire detto infortunio e, tra queste, di avere vigilato circa l’effettivo uso degli strumenti di cautela forniti al dipendente, non potendo essere ragione di esonero totale da responsabilità l’eventuale concorso di colpa di altri dipendenti, se non quando la loro condotta rappresenti la causa esclusiva dell’evento.
Ragionando sullo specifico episodio capitato alla operatrice socio-sanitaria, è necessario tenere conto delle condizioni del luogo ove si è verificato l’incidente, in particolare della posizione e della dimensione degli oggetti da movimentare, e accertare se il responsabile del servizio avesse in concreto vigilato sulla corretta applicazione delle regole di sicurezza ad opera dei lavoratori, non essendo possibile rimettere alla loro discrezionalità ogni valutazione in ordine alla gestione dello spazio in questione, se avesse garantito la presenza di dispositivi idonei a prevenire i rischi potenziali e se avesse ricevuto segnalazioni dai dipendenti e le avesse adeguatamente trattate. Mentre si è appurato che il responsabile del servizio lasciava che le lavoratrici concordassero tra loro i profili logistici e non si informava sulle modalità con le quali esse raggiungevano i pensili, nonostante l’utilizzo di una sedia fosse una prassi che andava avanti da tempo e nella cucinetta non vi fosse una scala (presente, piuttosto, nei vicini archivi).

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